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Corte europea dei diritti dell'uomo

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La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 contiene al suo interno (art. 19 e ss.) la previsione della Corte europea dei diritti dell’uomo, istituita, poi, nel 1959. A partire dalla data di entrata in vigore della Convenzione sono stati adottati 12 Protocolli aggiuntivi. Quelli riguardanti la Corte sono i Protocolli n. 2 e n. 11. Il n. 2 ha conferito alla Corte il potere di dare pareri consultivi, mentre il n. 11 ha previsto un riordino del meccanismo di controllo.

Il Titolo II del testo della Convenzione prevede le norme di composizione e funzionamento della Corte stessa. Il numero di giudici che compone la Corte è pari al numero degli Stati contraenti; attualmente sono 41. Sono eletti per un periodo di 6 anni dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e sono rieleggibili. Tuttavia, il mandato di una metà di essi, quelli designati alla prima elezione, scade dopo tre anni. I giudici devono godere della più alta considerazione morale e siedono a titolo individuale. Secondo il suo regolamento la Corte si suddivide in quattro sezioni la cui composizione deve essere equilibrata dal punto di vista geografico e di una rappresentanza proporzionata dei due sessi. Deve, inoltre, tener conto dei diversi sistemi giuridici esistenti nei vari Stati. La Corte si costituisce in: comitati di tre giudici, per la trattazione di ogni caso che le viene sottoposto, una Camera di sette giudici costituita in seno a ciascuna sezione, una Grande Camera di diciassette giudici, nella quale siedono di diritto il presidente e i vide-presidenti della Corte ed i presidenti di sezione.

Alla Corte può ricorrere:

ogni Stato aderente (ricorso interstatale) qualora ritenga che un altro Stato non abbia osservato le disposizioni della Convenzione e dei suoi Protocolli;
ogni persona fisica (ricorso individuale), ogni organizzazione non governativa o gruppo di privati che si ritenga vittima di una violazione da parte di uno Stato aderente dei diritti riconosciuti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli.
La Corte di Strasburgo non è l’unica possibilità per far valere i diritti dell’uomo; infatti, dalla lettura combinata degli artt. 13 e 35, si deduce che è considerata l’ultima possibilità dopo il diniego di giustizia nel proprio Paese. Infatti, secondo l’art. 13 “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presenta Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni istituzionali”; mentre l’art. 35, 1 comma, statuisce che “La Corte non può essere adita se non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne, qual è inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva”.

La procedura davanti alla Corte è pubblica ed in contraddittorio. Le udienze sono pubbliche a meno che la Camera o la Grande Camera non decidano in altro modo in virtù di circostanze eccezionali.

Le sentenze delle Camere sono definitive:

quando le parti dichiarano che non rinvieranno il caso alla Grande Camera;
tre mesi dopo la data della sentenza, se non è stato richiesto il rinvio alla Grande Camera;
se il Collegio della Grande Camera respinge una richiesta di rinvio formulata entro tre mesi dalla data della sentenza di una Camera.
Le sentenze della Grande Camera sono sempre definitive.

Che tipo di valore hanno le sentenze della Corte?

Tutte le sentenze definitive della Corte sono vincolanti per gli Stati che hanno preso parte alle controversie. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa è preposto al controllo dell’esecuzione delle sentenze definitive; deve, quindi, verificare che lo Stato condannato adotti le misure necessarie per adempiere gli obblighi derivanti dalle sentenze stesse.



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