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Procreazione assistita: la nuova legge


di Alessandra Pierucci - Istituto Universitario Europeo di Firenze

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L’approvazione della legge sulla procreazione medicalmente assistita è stata contrassegnata da un iter lungo e tortuoso, segno delle evidenti spaccature che sulle questioni della bioetica dividono ancora oggi la scena politica italiana. Dopo un acceso dibattito che da anni impegna non solo i parlamentari, ma anche la comunità scientifica e giuridica, è giunto all’approvazione un testo piuttosto controverso che ha suscitato diversi dissensi per la sua impostazione fortemente restrittiva.
Molto più che in altri testi normativi portati al vaglio del Parlamento, la legge appena approvata presenta infatti una serie di divieti che incanalano il ricorso alle tecniche di riproduzione assistita entro limiti piuttosto angusti.
In primo luogo, sul piano delle finalità della procreazione medicalmente assistita, l’accesso alle nuove tecniche procreative è consentito unicamente alle coppie che presentino problemi riproduttivi derivanti da sterilità o infertilità. Il ricorso alle nuove tecnologie della riproduzione è permesso, infatti, solamente nel caso di impossibilità, documentata e certificata dal medico, di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione. La prospettiva prescelta guarda alla “fecondazione artificiale” come ad un metodo di cura della patologia della sterilità e nega che il ricorso ai metodi di procreazione assistita possa essere collocato nel quadro delle libere scelte dell’individuo. L’idea di una fecondazione assistita per finalità puramente terapeutiche è del resto in linea con la scelta del legislatore di accordare il diritto di avvalersi di tecniche alternative alla procreazione naturale alle sole coppie eterosessuali, escludendo, cioè le donne che, pur senza particolari problemi di infertilità ma single o omosessuali, desiderino sottoporsi ad interventi di inseminazione artificiale: l’art. 5 della legge stabilisce che possono avvalersi di tali metodi solamente le coppie sposate o conviventi in età potenzialmente fertile, entrambe viventi (escludendo, così, la legittimità dell’assai problematica pratica dell’inseminazione post mortem).
Un altro controverso aspetto della legge riguarda il divieto della cosiddetta inseminazione eterologa, compiuta, cioè, con seme di un donatore. Coppie, ad esempio, con problemi di totale infertilità maschile non potranno aspirare ad avere un figlio avvalendosi del materiale biologico di un donatore. L’interdizione mira evidentemente a preservare una nozione di famiglia fondata su legami esclusivamente biologici. Le critiche a tale scelta di politica legislativa derivano dalla constatazione che la cosiddetta genitorialità sociale, fondata, cioè, sulla consapevole volontà del genitore di avere un figlio, pur nell’impossibilità di contribuire al processo procreativo biologico, meriterebbe un riconoscimento da parte del nostro ordinamento.
La legge stabilisce altresì che il trattamento medico debba fondarsi sul consenso informato delle parti interessate. Il principio, ormai assai noto nel mondo medico e giuridico, è indispensabile in un contesto che, come quello in esame, è caratterizzato dal ricorso a trattamenti che presentano alte possibilità di insuccesso, potendo così determinare gravi ripercussioni sul piano psicologico (e, dati i costi, materiale) dei soggetti coinvolti.
Anche la questione del consenso, in alcuni suoi aspetti, ha generato aspre critiche. In particolare, si è rilevata l’ambiguità di una disposizione (art. 6, comma 3) che prevede che la volontà dell’impianto possa essere revocata da entrambi i membri della coppia fino al momento della fecondazione dell’ovulo. Riesce infatti assai difficile prospettare un obbligo di attuazione coercitiva di impianto dell’embrione in mancanza di una revoca tempestiva da parte dei soggetti coinvolti. Salvo poi, eventualmente, decidere di abortire nei limiti stabiliti dalla legge n. 194/1978.
La legge sulla procreazione assistita si preoccupa altresì di definire la condizione giuridica del nato che assume lo status di figlio legittimo o riconosciuto della coppia, sposata o convivente, che si è avvalsa delle tecnologie della riproduzione. Lo status giuridico del nato è altresì preso in considerazione ai fini dell’applicazione delle norme del codice civile in materia di disconoscimento di paternità. Non è infatti ammesso il disconoscimento da parte del coniuge o convivente allorquando egli (pur contravvenendo alla legge stessa che, come si è detto, vieta il ricorso alla procreazione con seme di donatore) abbia prestato il consenso anche per atti concludenti all’inseminazione eterologa. In questo caso, inoltre, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato. A tal proposito, è apparso a molti contraddittorio un quadro normativo che vieta la fecondazione eterologa, pretendendo allo stesso tempo di disciplinarne gli effetti giuridici sul piano del diritto civile.
Particolarmente restrittiva l’impostazione della legge anche in materia di ricerca. La legge vieta qualunque tipo di sperimentazione sugli embrioni. La ricerca sull’embrione è infatti consentita per perseguire finalità puramente terapeutiche e diagnostiche volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso e sempre che non siano disponibili metodologie alternative. Sono espressamente vietate sperimentazioni per finalità diverse, selezioni a scopo eugenetico o interventi che alterino il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete o che predeterminino caratteristiche genetiche; interventi di clonazione, fecondazioni di un gamete umano con un gamete di specie diversa e la produzione di ibridi o chimere.
Altro tema piuttosto controverso affrontato dalla legge sulla procreazione assistita è quello dei cosiddetti embrioni soprannumerari. Secondo le nuovi disposizioni normative non possono essere creati embrioni in numero superiore al necessario per l’impianto, e comunque non superiore a tre. Gli embrioni non possono essere congelati se non per garantire il trasferimento nell’utero in caso di gravi problemi di salute della donna. E’ inoltre obbligatorio che vengano impiantati tutti e tre gli embrioni (anche in caso di embrioni malati). Proprio nei confronti di tale obbligo, la comunità scientifica ha mostrato forti resistenze. In particolare, è stato messo in evidenza che le nuove disposizioni normative non solo non risolvono il problema degli embrioni in soprannumero già prodotti prima che intervenisse una regolamentazione, ma creano delicatissimi problemi anche sul piano dell’applicazione della cosiddetta diagnosi genetica preimpianto che ha fino ad ora permesso di analizzare l’embrione in una fase assai precoce e di trasferire nell’utero della donna i soli embrioni sani (evitando, peraltro, l’eventuale aborto terapeutico successivo).
Relativamente agli interventi di procreazione assistita, si rileva, nell’impianto normativo in esame il riconoscimento dell’obiezione di coscienza per il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie. La norma, dettata dalla forte coloritura etica che caratterizza il tipo di trattamento medico in questione, è stata oggetto di pesanti critiche da parte di coloro che ritengono la fecondazione assistita un diritto alla salute della coppia infertile, come tale non eludibile da parte del medico.
La legge fa discutere anche per la scelta, prevista dall’art. 3, di escludere la procreazione assistita dall’ambito delle prestazioni del servizio sanitario nazionale. A fronte degli alti costi dell’accesso alle nuove tecnologie della riproduzione si finirebbe pertanto per garantirne l’accesso alle sole coppie facoltose.
Un’ultima preoccupazione di carattere generale è avvertita dagli oppositori al nuovo testo sulla procreazione assistita: che la logica del divieto che permea la legge non farà altro che ingenerare fenomeni di turismo procreativo (per chi, anche qui, possa permetterselo) verso tutti gli altri Paesi che hanno invece optato per normative più flessibili e liberali.

(Alessandra Pierucci)



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