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La Corte di Cassazione riconosce il danno esistenziale


di Alessia Mazzoni - Progetto di Open Community Giurdica Infoleges.it

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Prima della sentenza n. 2050 del gennaio 2004 la Corte di Cassazione non aveva mai preso una posizione così decisa sulla questione del danno esistenziale. C’è da dire, però, che già in passato, ed in un passato piuttosto recente, la Suprema Corte prima e la Corte Costituzionale dopo, si sono trovate a decidere fattispecie legate a tale nuova categoria di danno alla persona. Si ricordino, ad esempio, le sentenze n. 7713 del 2000, n. 8827 e n. 8828 del 2003 della Corte di Cassazione e la sentenza n. 233 del 2003 della Corte Costituzionale.
Con la sentenza n. 7713/2000 la Corte di Cassazione ha affermato che anche il danno esistenziale (dopo il danno morale, causato da comportamenti penalmente rilevanti e il danno biologico, riconosciuto come danno in sé e comportante una lesione del diritto alla salute), assurge a nuova ed autonoma categoria di danno alla persona e può essere risarcito (la liquidazione andrà effettuata in via equitativa). In particolare, la Corte, riaffermando gli stessi principi esplicitati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 184 del 1986, ravvisa nel caso di specie un diritto al risarcimento per lesione dei diritti fondamentali della persona “collocati al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti”. Il risarcimento, allora, è possibile “per il fatto in sé della lesione (danno evento) indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno conseguenza)”. L’art. 2043, infine, deve, secondo la Corte, essere esteso fino a ricomprendere il risarcimento dei danni patrimoniali e di tutti quelli che “almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana”.
Con la sentenza n. 8827 la Corte di Cassazione ha rigettato la tradizionale lettura dell’art. 2059 c.c., in riferimento all’art. 185 c.p. “come diretto ad assicurare tutela soltanto al danno morale soggettivo, alla sofferenza contingente, al turbamento dell’animo transeunte”, determinati da un fatto illecito costituente reato. Di conseguenza, per la Suprema Corte si deve oggi riconoscere che il danno non patrimoniale vada a costituire un’ampia categoria (la Corte parla di “lata estensione della nozione di danno non patrimoniale”), comprendente “ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona” e non più soltanto il danno morale soggettivo. E’ proprio per questo, allora, che quando vengono in considerazione valori personali di rilevanza costituzionale, viene anche a cadere (ossia diventa inoperante) il limite cui è sottoposto il risarcimento del danno non patrimoniale, ossia la riserva di legge ed in particolare non può più operare il riferimento all’art.185 c.p., in forza del quale il risarcimento del danno non patrimoniale potrebbe essere consentito solo in caso di fatto illecito costituente reato. In questo contesto si considerano risarcibili anche i danni diversi da quelli biologico e morale soggettivo, anch’essi di natura non patrimoniale ed anch’essi ricadenti nell’ambito dell’art. 2059 c.c. Ne scaturisce, così, anche se la Corte non è affatto esplicita in proposito, un sistema bipolare costituito dal danno patrimoniale e dal danno non patrimoniale, quest’ultimo comprensivo del danno biologico, del danno morale soggettivo e da tutti quei danni “diversi ed ulteriori” che, però, sono conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto. La Corte di Cassazione si muove sostanzialmente sulla stessa linea anche con la sentenza “gemella” (entrambe dello scorso 31 maggio 2003), la n. 8828 del 2003.
Dal canto suo, anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 233 del luglio 2003, pur non trovando soluzioni originali, segue la corrente giurisprudenziale della Suprema Corte del maggio 2003. Ha, infatti, in primo luogo, dichiarato superata la tradizionale identificazione tra danno non patrimoniale e danno morale soggettivo, ex art. 2059. In secondo luogo, riprendendo, per l’appunto, le pronunce della Suprema Corte del maggio 2003, prima schematicamente esaminate con riguardo al tema che ci interessa, la Consulta afferma che si può prospettare “un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.”, articolo nel cui ambito può essere ricompreso “ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona”. Le categorie di danno che ricadono, così, nella sfera dell’art. 2059 c.c. sono il danno morale soggettivo, “inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima”, il danno biologico in senso stretto, “inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.)” e il danno “spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale” che deriva “dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”.
Torniamo, infine, alla sentenza della Corte di Cassazione n. 2050 del 25 novembre 2003-22 gennaio 2004, dove per la prima volta la Suprema Corte affronta in maniera decisa la questione del danno esistenziale e, di conseguenza, del suo risarcimento. Riprendendo, infatti, il criterio utilizzato dalla Corte d’Appello la cui ordinanza è oggetto d’esame, la Suprema Corte ha trattato prima le questioni riguardanti il danno patrimoniale e poi quelle riguardanti il danno non patrimoniale. Per quanto concerne queste ultime, la Corte ha brevemente, da un lato rimarcato “l’evidente iniquità della limitazione della risarcibilità del danno non patrimoniale alle ipotesi di reato”, e dall’altro ha evidenziato che, come conseguenza, si è avuta la costruzione da parte di certa dottrina e giurisprudenza di “ipotesi di danni risarcibili come danni patrimoniali anche nei casi nei quali la lesione patrimoniale” non era così evidente o poteva addirittura mancare. Inoltre, la Corte ricorda come si sia affermata l’opinione secondo la quale il danno non patrimoniale non coincide con il danno morale soggettivo, ma riguarda “tutte le conseguenze dell’illecito che non sono suscettibili di una valutazione pecuniaria”, sostanzialmente, quindi, concordando con le ricordate pronunce del 2003. Quanto, più in particolare, al danno esistenziale la Corte, dopo aver ricordato la recente evoluzione giurisprudenziale in proposito ( le citate sentenze della terza sezione della Suprema Corte del 2003), evidenzia come questa stessa giurisprudenza sembri “propendere per un concetto unitario di danno non patrimoniale”, ritenendo in qualche modo inutile ricavare all’interno della categoria “specifiche figure di danno etichettandole in vario modo”. La conseguenza di questo modo di procedere, però, secondo la Corte, è quella di non fare un espresso riferimento al danno esistenziale, ma d’altra parte confermare che si tratta proprio di tale tipo di danno. Inoltre, a differenza della dottrina che è divisa sulla natura, sui presupposti e sul fondamento del danno esistenziale (la Corte ricorda che si sono formate tre scuole che fanno capo a tre sedi universitarie, la triestina, la torinese e la pisana e proprio quest’ultima rifiuta la categoria di danno esistenziale), la giurisprudenza è sempre più tesa a ritenere ammissibile il risarcimento (la Corte ritiene, però, che sia più appropriato utilizzare il termine riparazione) del danno esistenziale. Ancora, il danno esistenziale è fondamentalmente diverso sia dal danno biologico, in quanto “non presuppone alcuna lesione fisica o psichica, né una compromissione della salute della persona”, sia dal danno morale soggettivo, che “si esaurisce nel dolore provocato dal fatto dannoso”, concretandosi in “un danno transeunte di natura esclusivamente psicologica”; il danno esistenziale, invece, si riferisce a “sconvolgimenti delle abitudini di vita e delle relazioni interpersonali provocate da fatto illecito” e si traduce in “cambiamenti peggiorativi permanenti, anche se non sempre definitivi” delle stesse.
In conclusione, allora, in quest’ultima sentenza sembra che la Corte di Cassazione da un lato riconosca come “sotto-categoria” autonoma il danno esistenziale e, dall’altro lo inquadri nell’ampia categoria di danno non patrimoniale, insieme al danno biologico e al danno morale soggettivo, dando un’ulteriore, ma deciso suggello a quanto già statuito dalla stessa Suprema Corte nel maggio 2003 e riconfermato dalla Consulta nel luglio successivo.



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