Newsletter

 Argomenti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Eutanasia: il punto di vista laico (II)


di Paolo Cendon - Università degli studi di Trieste

  Versione PDF

1. Indicazioni di fondo sull’eutanasia, da parte del diritto? La traccia essenziale è
quella riguardante i profili del metodo: necessità che ogni risposta muova cioè non già da astratte contrapposizioni di vessilli, bensì da un riscontro per le condizioni (psicofisiche, anagrafiche, ambientali, etc.) in cui versa chi domanda l’aiuto.
Andarsene con dignità – ecco il punto - altro non significa per il paziente se non conservare margini di controllo, più o meno esteso, circa la qualità degli ultimi mesi di vita; e si tratta di soglie e momenti da apprezzare in concreto, in funzione delle circostanze del caso.
In linea di massima allora: nessun dubbio che la via maestra, dinanzi alla morte imminente, quale che sia la persona a soffrire, consista in un approdo sistematico alla medicina palliativa.
Non meno chiaramente però: qualora ogni sforzo al riguardo dovesse rivelarsi vano, sarebbe giocoforza ravvisare nel ricorso a soluzioni pietose - stanti i presupposti necessari – il solo mezzo per sottrarre alle giornate a venire risvolti di crudeltà e brutalità.
2. Non può stupire allora che sia il medico, in casi del genere, la figura operativa cui far capo nella procedura, quella legittimata cioè a prescrivere/somministrare il farmaco richiesto. Il nodo è sempre l’osservanza, di principio, che è dovuta ai motivi portanti della qualità della vita; naturale che i referenti soggettivi nel protocollo non possano essere, per l’ora estrema, se non entrambi i protagonisti del rapporto terapeutico.
Competenze personali a parte - meglio sia un esperto di medicina a gestire ogni sorpresa o dettaglio applicativo, tanto più negli ultimissimi giorni - è impossibile non ravvisare nel presidio di quei tratti “esistenziali” un referente fra i più importanti, disciplinarmente, sia della scienza che della professione.
3. Di qui tutta una serie di corollari. Il primo di essi concerne il risalto che andrà attribuito ai momenti del dolore: l’attenzione da rivolgere cioè, in sede tanto nominale che applicativa, alla lotta frontale contro ogni forma di tormento e abbattimento (fisico e psichico) del morente; e ciò in misura direttamente proporzionale al grado della sofferenza stessa.
Non appena varcato il confine delle fitte o degli spasmi insopportabili, allora: nessun dubbio circa la piena ammissibilità, entro l’ordinamento, di somministrazioni farmacologiche che appaiano tali pur da minacciare, a breve o a medio termine, uno stordimento (parziale o totale) dell’infermo, E nessun dubbio, parimenti, quanto alla raccomandabilità degli interventi di neurochirurgia che siano volti a inibire, in maniera pur definitiva e irreversibile, la percezione specifica del male - e magari la percezione stessa.
4. Limiti, controindicazioni nella prassi? Il repertorio anche qui è abbastanza risaputo. Frequenza o ineliminabilità dei casi in cui la medicina, di fronte a soggetti dalle condizioni spiccatamente compromesse, si rivela impotente o mostra di non possedere risorse tecniche adeguate. Impossibilità tendenziale - per la scienza - di dare corso all’erogazione massiccia di analgesici o alla messa in opera di trattamenti neurochirurgici, senza che ciò minacci di provocare, presso i sofferenti più anziani o più deboli, un decesso più o meno ravvicinato.
Vie d’uscita residuali allora, dal punto di vista del diritto, in mancanza di bacchette magiche. Non più che un’indicazione operativa, nel segno della pietà e della civiltà: impossibilità, realisticamente, di approdare ad esiti gestionali che non siano quelli di un sollecito distacco dell’assistito - il meno cruento che le circostanze concedano - dal mondo terreno.
Non meno importanti i rilievi concernenti situazioni di approdo eventuale alla c.d. terminal sedation. Anche qui è la sostanza dei vissuti a contare: nessuna differenza sembra in effetti prospettabile - agli effetti disciplinari - tra la situazione della persona alla quale la medicina palliativa non riesca più ad arrecare alcun conforto, e quella di chi, per lenire la sofferenza, sia costretto invece ad accettare l’avvio lungo strade di oscurità senza ritorno.
5. Certo sarà il malato a pronunciarsi, in proposito – l’ultima parola è la sua, su tutto quanto. Ma è palese come ogni chance dipenderà, agli effetti pratici, dal tipo di possibilità biologico/esistenziali che vengono offerte in sostituzione. E pare difficile sostenere che - difendendo un’'alternativa chiusa tra la sbocco di una condanna al dolore insopportabile, e quello di un avvio allo stordimento totale e definitivo - si consegnerebbe il paziente ad orizzonti di vita seriamente dignitosi.
Evidenti le ricadute di tutto ciò, sull’assetto regolamentare che si instaura: (a) necessità del più fermo rispetto, ove ricorra uno dei casi sopradescritti, per la scelta favorevole a morire anticipatamente; (b) imprescindibilità di un consenso che sia espresso in forma lucida e consapevole, da parte di chi soffre; (c) piena legittimità, nel gioco di una scriminante a metà tra esercizio del diritto e stato di necessità, delle altrui condotte di assistenza nel suicidio - mediante la prescrizione del farmaco letale, nonché attraverso l'indicazione delle modalità di assunzione e delle dosi adeguate; (d) opportunità di far capo a cerimoniali tendenzialmente agili, nella misura del possibile: senza affanni, ma anche senza zone morte, con tempi proporzionalmente inversi all’intensità e continuità delle pene sofferte.
6. Quanto ai particolari infine:
- la richiesta del malato terminale (di essere assistito a morire) dovrà essere esplicita: andrà formulata preferibilmente per iscritto, comunque con il coinvolgimento di un pubblico ufficiale o del direttore sanitario della struttura ospedaliera di degenza, al quale dovranno essere fornite adeguate garanzie circa la provenienza e l’autenticità della dichiarazione;
- non potranno mancare riprove, sicure e autorevoli, circa la pienezza di capacità del richiedente, intesa come effettiva consapevolezza degli effetti e del significato delle proprie scelte ;
- la malattia dovrà essere inguaribile, giunta comunque al suo stadio terminale;
- dovrà ricorrere assoluta certezza quanto al fatto che il dolore fisico non è controllabile, nel contesto, mediante le terapie palliative disponibili; o che esso appare, comunque, fronteggiabile solo mediante interventi gravemente lesivi della dignità dell’individuo (induzione dello stato di incoscienza permanente, interventi di neurochirurgia pesantemente invasivi) e rifiutati esplicitamente dal paziente.




(c) 2002-2022 www.infoleges.it -  powered by Be Smart s.r.l - Note legali e Condizioni d'uso