Newsletter

 Argomenti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Malattia terminale e direttive anticipate


di Paolo Cendon - Università degli studi di Trieste

  Versione PDF

1. Come orientarsi, riguardo alla sospensione dei “trattamenti di fine-vita”, nel caso di un malato terminale incapace di intendere e volere?
Una soluzione tra le più persuasive, si sottolinea da qualche tempo, è quella di puntare sulle c.d. “direttive anticipate” - lasciando cioè che la decisione coincida con la volontà espressa in precedenza dallo stesso interessato.
Due essenzialmente le strade attraverso cui l’obiettivo può realizzarsi.
(a) Testamento biologico - E’ il paziente, quando sta ancora bene psichicamente, a dichiarare qui per iscritto, pensando a contesti di futura incapacità, la propria preferenza rispetto alle misure sanitarie che potessero un giorno consigliarsi, nei suoi confronti, o che rispondessero comunque a un certo tipo di routine (ospedaliera, chirurgica, farmacologica, etc.) in situazioni di malattia grave.
(b) Procura sanitaria - Mentre versa ancora in stato di lucidità, l’infermo nomina stavolta un proprio fiduciario, una sorta di delegato per la sanità, affidandogli il compito di assumere in nome e per suo conto le decisioni che il futuro potrà richiedere. E ciò per l’ipotesi in cui egli (il rappresentato) non dovesse, al momento utile, essere mentalmente in grado di compiere una qualsiasi scelta informata.
Ad esempio: si provvede a definire, anticipatamente e in via congetturale, una serie di priorità terapeutiche. Il soggetto precisa, mettiamo, che in nessun caso si dovrà prescindere dall’effettuazione di interventi tesi ad alleviare il dolore fisico; anche se il risultato fosse quello di accelerare la morte. O ancora: viene esercitato il diritto a rifiutare le cure, e si evidenzia apertamente un “no” rispetto a qualsiasi erogazione, per il futuro, di trattamenti di mero sostegno vitale.
2. Non sempre - va precisato - il ricorso al testamento biologico sarà ammissibile. Ostano alcune limitazioni di principio, le più importanti delle quali collegate al gioco stesso delle regole da cui è governato, in generale, il consenso. In particolare:
(a) occorre che il consenso/dissenso nei confronti di un certo trattamento sia relativamente attuale; verrà garantito così che la volontà espressa nell’atto rispecchi, effettivamente, la personalità dell’autore: e si assicurerà a quest’ultimo la possibilità di una verifica costante, in vista di eventuali aggiustamenti delle clausole (pur in presenza di opinioni precedentemente solide e conclamate);
(b) occorre si tratti poi di un consenso informato; il che varrà, osserviamo, per tutte quante le combinazioni immaginabili, compresa quella di un eventuale “dissenso” agli interventi (del futuro): nessun peso giuridico si potrebbe riconoscere, in effetti, ad un “no” il cui autore figurasse storicamente all’oscuro dei dettagli clinici che rilevano.
3. Quanto al tenore della dichiarazione, è palese che le ipotesi patologiche, contemplate a monte, non potranno rivestire se non caratteristiche di spiccata gravità e drammaticità.
In particolare: un rifiuto indifferenziato nei confronti di trasfusioni, amputazioni, interventi chirurgici (collocato al di fuori di uno scenario di fine vita) non potrebbe che prescindere da prognosi di sorta. Alla messa a punto di quest’ultima solo l'informazione dettagliata del medico riuscirà, di fatto, a provvedere. Poco tranquillizzante suonerebbe allora una disposizione contraria - a priori - ad ogni intervento medico, indipendentemente da riguardi per l’esito dello stesso; al di là cioè di un rilievo per i benefici, e per i margini di recupero, in concreto possibili.
D’altro canto, non ogni applicazione di natura medica potrà essere rifiutata, attraverso le direttive anticipate. In particolare, non saranno ricusabili le misure la cui omissione apparisse tale da minacciare, nel breve, una diretta lesione della dignità della persona. Tali, ad esempio, gli interventi volti ad alleviare immediatamente sofferenze gravi, di tipo fisico o psichico; oppure le prestazioni corrispondenti alle cosiddette “basic cares” - espressioni dell'assistenza minima al malato (consistenti ad esempio nel presidio dell'igiene personale).
Diverso il caso della paziente la quale avesse dichiarato, in anticipo, di non volere per sé alcun trattamento di sostegno; e che, nei frangenti cruciali della terminalità, risultasse però in fase avanzata di gravidanza. E' sensato concludere che la direttiva sanitaria non potrebbe essere considerata efficace, in casi simili, tutte le volte che il feto risultasse giunto ad uno stadio tale da far ritenere prossima una sua sopravvivenza autonoma.
4. Passando alla “procura sanitaria”, va chiarito come l'ambito di operatività della stessa, nei paesi che sono venuti disciplinandola, sia tipicamente il campo delle decisioni ordinarie. Tra quelle adottabili in nome e per conto di un paziente incapace, le scelte di fine vita non vengono abitualmente comprese.
Una possibilità del genere, in realtà, non è del tutto fuori gioco; occorre però a monte una condizione ben precisa: il paziente, in sede di conferimento dei poteri al fiduciario, dovrà aver disposto esplicitamente in merito ad esse.
Il rapporto di funzionalità con il testamento biologico appare poi abbastanza intuibile. Si può dire che la procura sanitaria ricalchi, sostanzialmente, il meccanismo di legittimazione fondato sulla prestazione di un valido consenso/dissenso; l’opzione ha luogo in nome e per conto del malato, a seguito di adeguate informazioni.
Nulla di insolito quanto alle procedure. Opportunamente informato dal personale sanitario, il fiduciario adotta - in nome e per conto dell’assistito - le risoluzioni verosimilmente più vicine a quella che sarebbe stata la volontà dell’infermo, ove capace e del tutto cosciente. In questa operazione egli si avvarrà, di regola, delle specifiche falsarighe indicate dal malato e dovrà agire perseguendo rigorosamente il bene di costui.
5. Ciò non significa – concludiamo - che non esistano limiti di sorta all’investitura del procuratore, in ordine all'oggetto delle decisioni. E’ plausibile anzi che le restrizioni di competenza siano destinate a collocarsi su più livelli.
Lasciando stare gli interventi estranei per se stessi al campo della terminalità (ad. es. sterilizzazione, aborto, donazione di tessuti e organi non rigenerabili, terapie di malattie mentali, psicochirurgia; i trattamenti insomma più strettamente legati con l'espressione della personalità), ci limiteremo a osservare come un limite generale sia immaginabile per tutte quante le ipotesi di rifiuto, eventuale, nei confronti di trattamenti di sostegno vitale. E lo stesso vale per le cure palliative. Sembra ragionevole aggiungere che il mandatario - in difetto di una specifica previsione dell’assistito - sarà destinato a incontrare, qui, gli stessi vincoli che operano in generale con riguardo al rappresentante legale.
In casi simili non potrebbe mai mancare il dato di una (preventiva) autorizzazione dell’autorità giudiziaria - quanto meno là dove non vi fosse una precisa condivisione della decisione, da parte del medico curante.



(c) 2002-2022 www.infoleges.it -  powered by Be Smart s.r.l - Note legali e Condizioni d'uso