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Angelini Luciano
SULLA RILEVANZA DEL NOMEN IURIS NEL PROCESSO DI QUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO
(Nota a Cass. sez. lav. 19 novembre 1998, n. 11711)
in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 1999, fasc. 4  pag. 665 - 679
(Bibliografia: a pié di pagina o nel corpo del testo)

Con questa sentenza la Suprema Corte ribadisce il principio secondo cui la nostra legislazione nega ai contraenti sia la facoltà di disporre a loro esclusivo criterio dei contenuti del contratto di lavoro, sia la possibilità di precludere l'eventuale, successiva difforme qualificazione giudiziale che dovesse basarsi sulle concrete modalità di svolgimento dell'attività lavorativa. Indipendentemente dal nomen iuris attribuito dalle parti al contratto di lavoro, al giudice compete stabilirne la natura, subordinata o meno, tenendo conto del concreto atteggiarsi del rapporto. A fronte delle difficoltà di qualificazione del rapporto nella concreta attuazione di esso, l'A. valuta la portata di quelle posizioni secondo le quali la natura giuridica attribuita dalle parti al rapporto stesso, pur non vincolante ai fini della decisione, dovrebbe rappresentare il punto di partenza dell'indagine giudiziale. Approfondita quest'impostazione, anche alla luce della giurisprudenza, l'A. esamina la portata del disegno di legge n. 2049 recante norme per la tutela dei lavori "atipici", così come licenziato dal Senato il 4 febbraio 1999, che, in sostanza, si limita a delineare la figura del "nuovo" lavoro parasubordinato.

Fonti

  • Codice civile art. 2094
  • Codice civile art. 2222
  • sent. C. Cost. 31 marzo 1994 n. 115

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